domenica 20 gennaio 2013

Django Unchained-La Recensione

Non c'è che dire, "Django Unchained" è uno di quei film che si ricordano. E non solo perchè è diretto da un grande regista come Quentin Tarantino, ma perchè è un film che possiede tutto! E vederlo rappresenta sicuramente un'esperienza. In "Django Unchained" si trattiene il fiato, si sorride, si spera, ci si emoziona anche ma, soprattutto, si riflette. L'amara ironia che pervade tutto il film è l'espediente che Tarantino ha scelto di usare magistralmente per mostrare agli spettatori l'orrore della schiavitù. Un'ironia che non serve certo ad addolcire la medicina (perchè il tema della schiavitù, dello sfruttamento di una razza da parte di un'altra razza, è e rimane sempre un qualcosa che lascia l'amaro in bocca e che si fa fatica a digerire), ma è un modo speciale, originale di parlare di un tema delicato come quello della schiavitù. Laddove, cioè, la maggior parte delle opere che trattano temi come questo usano una marcata dose (e talvolta esagerata) di sentimentalismo, nel film di Tarantino invece non si piange dall'inizio alla fine, anzi si ride, anche se apparentemente non ci sarebbe proprio nulla da ridere. Ma proprio il contesto in cui sono inserite le ilari battute dei personaggi è ciò che fa riflettere, e che porta a sviluppare nello spettatore la consapevolezza degli orrori e degli errori di cui la natura umana si è fatta portatrice nel corso della sua storia. La natura umana è, appunto, un altro degli aspetti che vengono indagati in questo film. Django (Jamie Foxx) incarna il coraggio di un uomo che, nonostante le terribili esperienze che ha vissuto, ha ancora la forza di prendere in mano il suo destino e lottare per cambiarlo. E' uno che, insomma, si piega ma non si spezza. E' un uomo spinto primariamente ad agire non dalla vendetta, come potrebbe sembrare, ma dall'amore che, appunto, lo spinge a tutto pur di salvare sua moglie. E poi c'è il Dottor Schulz, interpretato da un bravissimo Christopher Waltz: un uomo ironico e in apparenza spocchioso, superbo e cinico (ricerca ed uccide gente per ottenere dei soldi in cambio) ma che, in realtà, è sensibile e si rivela essere anche un ottimo amico; uno che usa le sue doti di freddo negoziatore come arma per un nobile fine: aiutare Django a liberare sua moglie. Se si volesse azzardare una considerazione, si potrebbe dire che "Django Unchained" è una lezione di vita, oltre che una lezione di cinema. Già, perchè poi il tocco finale è dato dalla straordinaria regia di Quentin Tarantino che, come al solito, difficilmente (anzi, si potrebbe tranquillamente dire "mai") delude. Attenzione ai particolari, fotografia impeccabile, bellissima location, non un solo movimento di macchina che sia inopportuno, uso eccezionale del sonoro e della musica. E poi... Poi l'immancabile firma di Tarantino: violenza e soprattutto sangue, in apparenza elementi deprecabili, ma usati in questo film (come spesso anche negli altri film del regista) in modo esasperato, al punto tale da farli apparire chiaramente assurdi. Il sangue che schizza spesso da ogni dove, però, non impressiona lo spettatore, non lo turba, anzi lo porta a riflettere ulteriormente: come è abbastanza irreale e quasi assurdo che in seguito ad un unico colpo d'arma da fuoco schizzino letteralmente ettolitri ed ettolitri di sangue ed interiora (che vanno poi ad imbrattare intere pareti di edifici), così la schiavitù è qualcosa di ugualmente e totalmente assurdo. Cosa resta, a questo punto, da dire? Nulla! Solo: Se potete, andatelo a vedere!



















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